sabato 7 novembre 2009

I grandi piloti non si gestiscono

Da Varzi-Guy Moll a Prost-Senna

La storia insegna che Jean Todt decise una Dakar con una monetina. è il sogno di tutti i direttori sportivi quello di avere il controllo totale del team decidendone bello e cattivo tempo. Tuttavia, se in squadra vi sono due grandi campioni, allora non esistono più gli ordini di squadra, e se ci sono, o i driver, generalmente per calcolo, scelgono di obbedire, oppure potranno ignorarli, in virtù del proprio talento.
Lo dimostra la storia.
Per primo, pensiamo al periodo in cui nell'Alfa convivevano Nuvolari e Caracciola. La casa italiana, desiderosa di premiare Caracciola per la sua disciplina e per mostrare al mondo che l'Alfa poteva vincere indipendentemente da Nuvolari, decise che doveva essere il fuoriclasse tedesco ad aggiudicarsi il gp di Monza del '32. Ma il mantovano volante se ne infischiò dell'ordine di squadra.
Di recente abbiamo avuto la vicenda Alonso-Hamilton con due Paesi, Spagna e Inghilterra, pronti a schierarsi dalla parte dei rispettivi campioni. In pochi sanno che quella storia ebbe tra le varie antesignane di lusso, la grande rivalità tra Moll e Varzi, guardacaso due piloti opposti tra loro, come lo erano lo spagnolo e l'inglese che hanno coabitato in McLaren nel 2007.
L'uno, Guy Moll veloce e spregiudicato. La cui assenza di limite derivava dall'immensa bravura. L'altro, Varzi, uno stilista dalla guida pulita.
Moll contro Varzi, ossia Francia (Moll era algerino, all'epoca colonia francese) contro Italia. Luogo della contesa: la squadra Alfa con direttore sportivo un certo E. Ferrari. Anno, 1934.
è noto che la polemica esplose feroce a seguito del Gp di Tripoli di quell'anno, quando Moll accusò Varzi di scorrettezza: da lì una polemica che ebbe protagonisti i giornali specializzati di Francia e Italia. Ferrari ebbe la possibilità di intervenire sulla polemica punendo Moll ed estromettendolo da diverse corse. Ma la situazione era più subita che gestita e la cosa non fu poi un male, se pensiamo ai duelli entusiasmanti che ne vennero fuori.
Un'altra storia che val la pena di ricordare è quella di Fangio e della Ferrari. Il Maestro arrivò a Maranello (nel '56) pretendendo, e ottenendo, lo status assoluto di prima guida. Ciò gli fu concesso da Ferrari controvoglia e unicamente perchè il campione argentino gli serviva per tornare a vincere. Il resto del team fu quindi messo al servizio di Fangio. Ma Collins, che a Monza lasciò l'auto all'argentino non fu forzato da nessuno a far quel che fece. Lo decise Lui. Gli inglesi dicono lo fece per cavalleria. Vero, ma verso chi? Verso Fangio? Forse, ma era più che altro deferenza. Probabilmente, il vero gesto di rispetto fu verso Ferrari. Eh sì, perchè se Fangio non fosse uscito vincente da quel mondiale si sarebbe scritto che la Ferrari non era stata all'altezza del grande campione. Ci fu anche un calcolo di Collins? Sapeva che Ferrari, dopo quel gesto sarebbe stato legato da una sorta di "debito" nei suoi confronti? Forse, ma non lo credo. Fu vera cavalleria, ma più che verso Fangio, verso Ferrari. Ma fu anche deferenza, probabilmente verso entrambi i citati. Tutto questo per dire che più che l'ordine possono la personalità e il carisma. E se dietro al volante della Ferrari non ci fosse stato un professionista britannico col senso dell'onore, ma un pilota con personalità di fuoco, questi non si sarebbe fermato cedendo l'auto al rivale. E altrettanto, se dall'altra parte non ci fossero stati la personalità e il carisma di Ferrari e Fangio .. penso che Collins non avrebbe ceduto il mezzo, forse nemmeno sotto minaccia.

La legittima aspirazione di due grandi piloti,in coabitazione in un team, di vincere è stata limitata solo dal senso dell'onore, dal rispetto o dalla deferenza dell'uno verso l'altro, quasi mai da un ordine. Fu il caso di Stewart e Cevert o di Villeneuve e Scheckter. La prima la storia di un maestro e di un allievo. Una storia che sembra raccontare di un senso di inferiorità del secondo verso il primo, ma che invece nasconde solo un grande rispetto e una grande intelligenza, ma anche un'ambizione: battere con merito il grande campione ma senza scordare che il momento per competere non può sovrapporsi al momento per imparare.
Racconta Jo Ramirez, che fu meccanico alla Tyrrell negli anni d'oro, di un'occasione in cui Stewart aveva sbagliato all'ultima curva ma Cevert, che lo tallonava, non era passato al comando. Fu allora che il pilota scozzese scese dall'auto infuriato con Cevert: "perchè non mi hai passato?! Era la tua grande occasione ..."
Il maestro pensava che l'allievo non avesse voluto superarlo per deferenza e, giustamente, non sentiva di aver vinto ma di aver ricevuto un regalo. Ma si sbagliava perchè Cevert gli rispose "voglio batterti perchè sono più forte, non per un tuo errore..."
La seconda storia, cui facevamo riferimento prima, è quella di un'amicizia. Villeneuve in quel genere di cose, l'amicizia, la parola, credeva molto, tanto che anni dopo il tradimento di Pironi lo avrebbe distrutto. Hanno accusato Ferrari di non aver preso con sufficiente forza posizione in favore di Gilles. Ma Ferrari sapeva bene cos'è l'automobilismo e sapeva che in quel genere di cose non può entrare un direttore sportivo. L'inerzia di una squadra, se i piloti sono veloci e hanno classe, la fanno i piloti stessi. Del proprio onore rispondono solo loro.

Gli anni '80 sono stati il periodo delle rivalità interne più spettacolari: Mansell VS Piquet e Senna VS Prost. La prima fu una rivalità lacerante perchè vide una contrapposizione in seno al team. La seconda, invece, era semplicemente il corollario della superiorità schiacciante dei protagonisti rispetto agli altri.

-Bernd508-

Nessun commento: