venerdì 19 novembre 2010

Quella volta che Musso rischiò di diventare l'eroe dei due mondi ...

Musso, ovvero un fulmine lungo le curve sopraelevate di Monza. 281 km/h di media: tempo record nelle prove ufficiali, di una corsa sui generis, il Trofeo dei due Mondi. La corsa può essere annoverata tra le curiosità, tra quei tentativi della mia riuscita, e forse mai veramente tentata, unificazione delle gare made in USA e quelle europee. L'edizione del 1957 fu una bella vetrina americana in terra brianzola. Non ci sono team europei e la corsa (al meglio delle tre manches) è vinta da Jim Bryan.
Di europeo, a ben vedere, a Monza non c'è nulla, almeno nel '57. Non la pista, che è un catino, con le due sopraelevate. Non le auto o i driver che sono tutte a stelle e strisce.
Nel '58, ci sono vetture e piloti europei, che sfidano gli americani. C'è uno dei massimi specialisti dell'epoca delle corse su ovali, ossia Rathmann, che nelle libere piazza una media strepitosa: oltre i 281 km/h: meglio di quanto lo stesso Rathmann aveva fatto a Indy '58, quando aveva staccato il miglior tempo nelle prove con 235 km/h di media sul giro. C'è il Maestro, Juan Manuel Fangio. 
La Ferrari è presente con Hawthorn e Musso. I due drivers ferraristi hanno approcci radicalmente diversi: Hawthorn non è convinto di poter tirare fuori qualcosa dalla macchina su quella pista (per la cronaca, si girava verso sinistra). Musso, invece, vola. Meglio di Fangio, presente con una vettura americana. Meglio degli specialisti USA. Meglio di quel Rathman che aveva vinto la corsa più importante del mondo.
Chi pensa che correre su un ovale sia semplice, pecca di superficialità. Per capirlo, basta considerare le riflessioni maturate da Bruce McLaren, che a Indy aveva avuto esperienza di pilota (non molto fortunate) e di costruttore (queste, con gloria). Le considerazioni di McLaren, specie alla luce delle cognizioni tecniche di quest'ultimo, assumono rilevanza essenziale per comprendere la difficoltà delle corse negli ovali, solo in apparenza semplici. Il pilota neozelandese ha avuto modo di spiegare la complessità di messa a punto e di guida su circuiti della suindicata tipologia. Vero è che la tecnica negli ovali pare ridursi all'intuizione di Musso per cui non bisogna "tagliare la curva in modo normale, ma andare sul punto più alto, a metà curva, e poi piombare sul rettilineo sfruttando la maggiore accelerazione consentita dalla discesa" (un'idea che venne a Musso ricordandosi "di come facevamo andare forte le biglie ..." ), ma la grandezza del pilota sta tutta nel dare concretezza a quella complessità di gesti che vengono racchiusi in una frase.
Tuttavia, per affrontare una corsa come il Trofeo dei due Mondi (o la 500 miglia di Indianapolis) non basta la tecnica: serve la preparazione fisica e quella psicologica. Viaggiare inclinati, a quella velocità, sottopone il corpo a forze e a criticità diverse da quelle che intervengono se il circuito è "piatto". Attuare la tecnica di Musso in un giro è una cosa. Essere capaci di ripeterla, con metodo, a quei ritmi, per lunghe sequenze di giri, magari con i sorpassi e i doppiaggi, è altro. Musso non ha questa preparazione, Rathmann sì. E infatti, in due manches su tre, Musso cede fisicamente. Rathmann, no. Lo specialista americano vince: magari ha meno coraggio, meno tecnica di Musso, ma è più preparato a gestire una gara di quel tipo. Il pilota Usa, insomma, possiede un concetto di corsa nel suo assieme che il romano non ha. Eppure, Musso agli americani piace. Tanto da strappare un ingaggio per la 500 miglia di Indy del 1959 ... a cui non potrà però partecipare per la prematura scomparsa.
Musso, lo specialista dei circuiti veloci. Musso, l'incompiuto. Musso, uomo oltre i limiti che costringe il pilota a fare quello che non avrebbe mai fatto .. ma questa è un'altra storia. 
-Bernd508-

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