giovedì 9 agosto 2012

Il triangolo diabolico ed il Maestro

Juan Manuel Fangio e Reims: il Maestro ed il diabolico "triangolo" francese. Un'associazione che si giustifica più che con i tre successi di Fangio a Reims ('50, '51 e '54), con l'analoga capacità di imporre rispetto, anzi, di incutere timore.
Ognuno a modo proprio. Certo. Reims con la sua diabolica velocità, con i campi a lambire la pista ed a segnare, materialmente più che metaforicamente, il confine non solo (e non tanto) tra lo stare in pista ed il ritirarsi, ma tra il vivere ed il morire.
Tavoni, in un'intervista rilasciata a Delli Carri ("Gli indisciplinati"), commentando il tentativo di Musso, nel '58, di fare il "Calvaire" in pieno, in gara, aveva usato l'espressione, "fare dell'equilibrismo", come antitesi "del correre". 
Certo, un commento, quello di Tavoni, che essendo arrivato ex post (la morte di Musso proprio al Calvaire, nel '58, in pieno tentativo di farlo in pieno) rischia di passare più per una constatazione suggestionata dai fatti. Ma non lo è. E per capirlo bisogna tornare a Reims, al Calvaire ed ascoltare Fangio. 
Musso, prima di quella gara fatale, era andato dal Maestro per chiedergli se fosse possibile fare il Calvaire in pieno. Stiamo parlando di Musso che a Reims aveva vinto l'anno prima; di un pilota specialista della velocità. Eppure, andò "col cappello in mano" a chiedere a Fangio "si può fare?". 
La risposta dell'argentino lascio che i lettori la vadano a prendere nel libro di Delli Carri, a cui non voglio mancar di rispetto più di quanto già abbia fatto: la citazione è segno di deferenza, ed è lecita finché usata con parsimonia. 
Per quanto utile a questo articoletto, basti sintetizzare la risposta di Fangio in quel "fare dell'equilibrismo", espressione di Tavoni, anche se il senso è profondamente diverso: l'uno (Fangio) allude solo all'aspetto strettamente legato alla guida; l'altro (Tavoni) si riferisce al diverso approccio tra Hawthorn e Musso.

Volendo rovesciare i termini della questione, il fatto che Musso sia andato da Fangio, a chiedergli del Calvaire, non è solo il segno della deferenza imposta da Reims, ma anche della statura di Fangio. 
La stessa statura che ha indotto Collins, a Monza nel '56, a cedere la vettura (ed il titolo) all'argentino. Attenzione. Statura, non prepotenza. Perché nessuno ha obbligato l'inglese, se non la deferenza provata verso Fangio, ed anche verso Ferrari che, da un non-successo di Juan Manuel, avrebbe ricevuto più che qualche grattacapo.

--
Avevo in animo di scrivere qualcosa su Fangio, e per un po' ho girato attorno alla questione. La carriera dell'argentino parla da sola, basti citare i cinque titoli mondiali di F1. Sicché, scrivere di Fangio mi sembrava superfluo. 
Tuttavia, anche se "mettere in fila i numeri" dice molto di Fangio, secondo me non trasmette l'aspetto veramente pregnante dell'argentino, ossia la capacità di incutere deferenza.
La stessa impressione che mi prende guardando Reims e "rileggendo" le vicende di chi, nel bene e nel male, ha vissuto il diabolico triangolo francese.  
-Bernd508-

Nessun commento: